venerdì 13 aprile 2012

[diario]: Parigi val bene una maturità

Gentili tutti,

il caldo sole del mattino descrive un inusuale primavera per la capitale francese oggi.
Il traffico del mattino sembra scemare e rallentare mentre io mi perdo dietro la vetrata acquario di un macdonald.

Sono a Parigi, ovviamente per lavoro, e ovviamente con tanta voglia di postare e di lasciare tracce delle mie emozioni sul mio amato blog.

Il blog diventa sempre di più durante i miei viaggi un registratore magnetico di emozioni, un meraviglioso combinato di tecnologia futuribile e tasti digitati di corsa e con troppa forza, come retaggio della vecchia macchina da scrivere che amavo in casa mia a 13 anni.

Il tepore della primavera deve essersi fermato a Parigi perché il mio cappotto da pieno inverno ieri notte a Milano non ne aveva memoria alcuna.

Sono partito alle 5 del mattino da casa, ho fatto in fretta ma non troppo, noi single abbiamo il vantaggio di poterci prendere tutto il tempo e spesso tutto il ritardo che vogliamo per alzarci dal letto o insabbiarci nel tempore del bagno, persi in stupidi pensieri filosofici.

Amo le mattine milanese, hanno il sapore della ferrarelle fresca nell'arsura dell'estate napoletana, sono frizzanti ma non troppo, nel senso che ti risvegliano ma non ti gonfiano. Milano alle 5 del mattino non t'invade di rumori e traffico, tutto e più tranquillo, e ti godi il bello della città mentre il taxi ti porta a fare un giro turistico che consiglieresti a tutti i detrattori del capoluogo lombardo.

Al mio fianco ho un caffè caldo, di quelli americani, di quelli che noi italiani raccontiamo peste e corna, ma che fidatevi sono i migliori compagni possibili nelle giornate di scrittura solitaria.

Sorseggio il caffè e m'interrompo per le mail che piovono sul mio blackberry nuovo o per ammirare qualche splendida fanciulla francese.

Partiamo da un assunto, io amo Piccadilly Circus, ma al momento si trova a Londra e quindi potrò rivedere la mia amata solo domenica sera, e quindi cerco di consolarmi con altro.

L'altro in questione sono le ragazze di Parigi.

Le ragazze di Parigi sono diverse, hanno le converse ai piedi, hanno sempre i jeans scoloriti ed un po stracciati e decisamente poco aderenti, portano maglioni colorati (tipo d'arancione) hanno i capelli a caschetto e hanno un filo di lipgloss sempre, ma soprattutto sono sensuali nel loro fregarsene del mondo.

Hanno un sguardo disincantato, di quelli che non riesci mai ad incrociare, sono perse nei loro i-cosi, sempre con le cuffie a giro, e quel broncio senza sorriso di chi dalla vita non si aspetta un matrimonio e dei figli ma solo una tazza di caffe caldo ed un invito per fare un estate di concerti in giro per l'europa su un camioncino della Volskwagen.

M'incanto nel guardarle, e le immagini che ne evoco sono di risate, di prati verdi, di serate nei negozi di vinili, di ore a provare al basso le melodie di Guy Prat, di sesso semplice senza giochi o menate da repressi italiani, tutto semplice ed ovvio ma incredibilmente coinvolgente.

Ma tutto svanisce quando volto lo sguardo dalle converse di lei alla vetrina che ho difronte, mi rivedo nel mio cappotto che ha dimenticato la primavera milanese, nel mio completo grigio classico e nella mia cravatta stretta, assomiglio ad un manager lontano mille anni luce dalle ragazze in converse, ma alla fine mi sorrido uguale, sorrido a me stesso, guardo il blackberry e ringrazio Dio del mondo bellissimo in cui vivo.

Tutto il resto sfuma in bianco mentre io comprendo che quando viaggio riesco meglio a Mettere Ordine in Casa




martedì 10 aprile 2012

[diario]: ritorno a Napoli, ovvero come tornare a casa e vivere felici anche senza l'uso di stupefacenti chimici

Gentili Tutti,

sono le 12.18 di un lunedì in albis napoletano mentre mi appresto a scrivere questo nuovo post.

La vita frenetica delle mie ultime giornate mi ha trasportato in un’unica soluzione di continuità dalla costa azzurra francese ai lidi napoletani in cui sono nato.

Sono tornato a casa, come si direbbe nell’incipit di un film stile Muccino, ma per quanto possa suonare retorico e scontato è semplicemente la verità.

Erano due anni che non tornavo a casa mia, e la sensazione che ho provato è stata davvero… mhmmm.. come posso dire…. aliena.

Ma partiamo dall’inizio, partiamo dal viaggio di ritorno.

Se nel viaggiare c’è sempre qualcosa di catartico, in questo mio viaggio di ritorno il catartico è stata la variante di valico che separa bologna da firenze.

La variante di per sé nella mia mente di automobilista tardivo, era una delle parole “tecniche” che si ascoltava nelle soporifere telecronache della formula 1.

Ebbene questa fantomatica parola, ora per me ha assunto un significato che rivaleggia in terrore con “salerno-reggiocalabria”.





La mente dell’uomo può partorire oscuri incubi: la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio, i gulag, la guerra del vietnam, le maratone notturne di fox retrò con una stagione di riptide, i sequel de “dal tramonto all’alba” e ovviamente l’inafferrabile variante del valico.

Superato questa insana perturbazione autostradale, la strada è stata liscia, lunga e piena di pessimo caffè fino al mio arrivo a Napoli.

Lì ad attendermi all’insana ora delle tre del mattino c’era un mio amico storico (in compagnia di loschi nuovi figuri, tra cui un tronista mancato che è diventato il mio nuovo VERO MITOTM) con in sfondo una versione porno della mia città natale.

Ora capiamoci, io ci ho speso 25 anni della mia vita a napoli, e quindi presumo di conoscerla bene, anzi così bene che spengo il navigatore, ma mie cari 42 lettori, napoli negli ultimi dieci anni, ma che dico negli ultimi due anni, è divenuta la colonia di una regina aliena, che però ATTENZIONE ATTENZIONE non partorisce schifoidi alieni ma: GNOKKA!


Ragazzi, quando parlo di gnokka, intendo fanciulle con taglia 44/42, con minimo una terza, more con capelli stirati, trucco semplice, sorriso durbans, occhi innocenti, minigonna, tacco dodici, culo da opera scultorea, e sigaretta nella mano sinistra.

Ora sono perfettamente conscio che nessuna di queste ragazze abbia chiaro il valore della run di Warren Ellis su Thunderbolts, o di quanto sia stata fondamentale per la storia della musica la figura di Ian Curtis, o della differenza tra una Gibson SG Goddess e una Gibson Firebird, o del perché il 5 aprile 1994 sia una data che ricordo ogni anno, ma sapete come siamo noi maschi, fondamentalmente poco attenti a tutto quello che non sia una gnokka, e di solito più una ragazza è gnokka meno ascoltiamo quello di cui parla.

Chiusa questa bella parentesi porno, torniamo al mio viaggio a casa, dopo aver preso coscienza che c’è “tanta roba” e “tanto bene” (come dicono a milano), m’immergo nel mio personale dejavù e rientro in casa dei miei genitori dopo due anni d’ingiustificata assenza.

La sensazione di partenza è stranissima, tutto è familiare ma allo stesso tempo distante.

Anzi diciamo pure emotivamente distante.

Tutto ha una patina d’usura e di vecchio. Le mie cose, i miei fumetti sono ancora lì, immobili come cattedrali nel deserto che testimoniano l’esistenza di un avanzata civiltà del passato caduta ormai in disgrazia.

Ma ben presto non ci sono solo gli oggetti a darmi la percezione di passato remoto che ritorna in versione zombie, ma anche le urla dei miei familiari.

Le urla, ecco una caratteristica distintiva della mia famiglia. Alcuni hanno le foto tradizionali sotto l’albero a Natale, altri i piatti unici con ricette segrete, altri ancora le vacanze tipo ed i ristoranti prenotati da sempre, ecco nella mia famiglia abbiamo anche noi il nostro rito speciale: URLARE.

Urlare sempre, e attenzione non urlare per comunicare tra di noi, ma urlare incazzati e amareggiati per qualsiasi, ed intendo qualsiasi cosa si abbia bisogno di comunicare. Ma facciamo un esempio in modo che tutti possiate godere di questo meraviglioso rito:


- (figlio 35 anni): ciao mamma esco un attimo, ci vediamo dopo per la Messa di mezzanotte. (tono pacato e normale)

- (madre 60 anni): uh Gesù Signore abbi pietà di noi tutti!!! Ma che diavolo stai facendo!!! Ma dove hai la testa??? Ma sì nu ver drogat!!! Noooooo Signore Pietà Accirm (uccidimi, ndt) mo’ mo’ (in questo preciso istante, ndt). (tono di mario merola che urla sparando a caso sulla folla)

- (figlio 35 anni): in che senso??? Ma cosa? (tono pacato e normale)

- (madre 60 anni): stai uscendo senza nu giubbott’!! ma si pazz!! Ma tu m stai ran na coller’ (tu mi stai provocando inauditi dolori intestinali improvvisi ed inspiegabili, ndt). (tono di mario merola che urla e piange sparando a caso sulla folla)

- (figlio 35 anni): Mamma ma è piena primavera! E poi non fa freddo, e poi dai sto bene così (tono lasciami andare che iniziano a girarmi)

- (madre 60 anni): ma che sti ricenn’ u Gesù perdonalo perdonalo, mai avrei pensato ad una collera così grande!!! Pietà Pietà per tutto il mondo! Agg fatt nu figl Scem (ho dato alla luce prole con diverse capacità d’apprendimento e per questo me ne dolgo, ndt)!!!

- (figlio 35 anni): e mo’ bast!!!! Io vado via, ok??? Ciaooo Mamma, io vado! Chiaro? Vado??!!! (tono guardami non sono invisibile)


Il dialogo è ovviamente andato avanti per altri 45 minuti, ma io avevo già abbandonato il luogo con ampio anticipo.


Ora mentre lasciavo la casetta dei miei genitori smaltendo la rabbia della litigata immotivata, m’immergevo nel parco che circonda il condominio dove sono vissuto per venti anni, ho acceso una paglia, mi sono seduto a guardare il nulla e ho lasciato che i fantasmi dei miei io passati affollassero il mondo. Mi sono rivisto ventenne innamorato perso di una ragazza colpevole solo di essere dolce con tutti e quindi anche con me, mi sono rivisto dodicenne in bici mentre sognavo di essere più veloce di Hurricane Polimar e di Ken Falco, mi sono rivisto 32 enne felice con compagna-fidanzata pronto per il matrimonio della sorella, mi sono rivisto 35 enne che ha smesso di fumare abbastanza ma che forse non smette di colpevolizzarsi per le scelte sbagliate da tipico maschio.

Alla fine i fantasmi sono come le giustificazioni li abbiamo davanti solo perché noi maschi siamo più bravi a rincorrere i ricordi dei periodi in cui eravamo ancora più irresponsabili, ma solo con meno sensi di colpa.

Ora il mio ritorno a casa prende il sapore delle pastiere e del casatiello, il limoncello diventa simile all’acqua ed io chiudo gli occhi e sono ormai nel viaggio di ritorno a Milano.

Mia madre è al telefono, è commossa come sempre, dice che dovrei tornare più spesso, ed io posando il telefono penso che in fondo è freddo e ho fatto bene a prendere il giubotto, alla fine mi sa che tornerò più spesso, anche perchè ho scoperto che anche casa dei miei ha bisogno di essere messa in ordine.